Niuna sconsolata
da dolersi ha quant'io,
ch'invan sospiro, lassa innamorata.
Colui che move il cielo e ogni stella
mi fece a suo diletto
vaga, leggiadra, graziosa e bella,
per dar qua giù a ogni alto intelletto
alcun segno di quella
biltà che sempre a Lui sta nel cospetto;
e il mortal difetto,
come mal conosciuta,
non mi gradisce, anzi m'ha dispregiata.
Già fu chi m'ebbe cara e volentieri
giovinetta mi prese
nelle sue braccia e dentro a' suoi pensieri
e de' miei occhi tututto s'accese,
e 'l tempo, che leggieri
sen vola, tutto in vagheggiarmi spese;
e io. come cortese
di me il feci degno;
ma or ne son, dolente a me!, privata.
Femmisi innanzi poi presuntuoso
un giovinetto fiero,
se nobil reputando e valoroso,
e presa tienmi e con falso pensiero
divenuto e geloso;
laond'io, lassa!, quasi mi dispero,
cognoscendo per vero,
per ben di molti al mondo
venuta, da uno essere occupata.
Io maledico la mia sventura,
quando, per mutar vesta,
sì dissi mai: sì bella nella oscura
mi vidi già e lieta, dove in questa
io meno vita dura,
vie men che prima reputata onesta.
O dolorosa festa,
morta foss'io avanti
che io t'avessi in tal caso provata!
O caro amante, del qual prima fui
più che altra contenta,
che or nel ciel se' davanti a Colui
che ne creo, deh! pietoso diventa
di me, che per altrui
te obliar non posso: fa ch'io senta
che quella fiamma spenta
non sia che per me t'arse,
e costà su m'impetra la tornata.
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